Sarà felice

Čagataev ne aveva abbastanza del dolore sin dall’infanzia, e adesso che era diventato colto, ora che gli uomini e i libri gli avevano insegnato la lotta per la felicità umana, il dolore gli appariva come una volgarità, e aveva deciso di creare nel suo paese un mondo felice, altrimenti non si capiva che fare nella vita e perché vivere.
– Non importa, – disse Čagataev e carezzò il grosso ventre di Vera dov’era il bambino, abitatore della felicità futura. – Mettilo al mondo presto, sarà felice.
– Forse no, – dubitò Vera. – Forse soffrirà tutta la vita.
– Noi non ammetteremo più l’infelicità, – rispose Čagataev.
– Voi chi?
– Noi, – ribadì Čagataev in tono sommesso ed indeterminato.

(A. P. Platonov, Džan, in Ricerca di una terra felice, p. 25)

L’impulso dietro quel “noi” è fenomenale.
Creare un mondo migliore, un mondo felice, un mondo in cui la lotta ontologica dell’uomo per la conquista della felicità arrivi finalmente al traguardo: è questo, quel che c’è dietro. Nella convinta e sincera determinazione di Čagataev si delinea il sogno di cambiare l’uomo, di trasformare le sue connaturate miserie in qualcosa di arcaico, di così remoto da potersi dimenticare: sono i tipici auguri di un padre verso il figlio nascituro, ma in qualche modo estesi a tutta l’umanità ventura. Abbiamo un personaggio che sente di appartenere ad una generazione intermedia, ancora legata al dolore eppure così lanciata verso la felicità: con le sue parole, Čagataev si trasforma in una specie di immenso custode, quasi un garante che voglia predisporre tutto per il meglio di chi è da venire.
Sembra quasi di sentire la voce di un altro grande, disperato utopista anche lui convinto che:

Molto è il lavoro,
______________occorre fare in tempo.
Bisogna
_______dapprima
________________trasformare la vita
E, trasformata,
____________si potrà esaltarla.
[…]
Per l’allegria
___________il pianeta nostro
_________________________è poco attrezzato.
Bisogna
_______strappare
_______________la gioia
______________________ai giorni futuri.

(V. V. Majakovskij, A Sergej Esenin)

A leggerli, vien quasi da sperarci.

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