Al di qua, aldilà

Non sapevo cosa si fa quando muore una persona.

(F. Jaeggy, Proleterka, p. 10)

Perché esiste un rituale della morte e un rituale del dolore, non intesi come un banale insieme di gesti e comportamenti da seguire (visto che si cadrebbe nella falsità del galateo) ma più come una serie di passi da seguire per vivere il proprio dolore. Un uomo che non conosce questo personalissimo iter è un uomo dalle emozioni morte, forse sopraffatto dal suo cuore zoppo: è un uomo che non sa andare al fondo del proprio dolore, che  non sa riconoscere la bellezza di tanto soffrire. Un uomo vuoto, per certi versi.
Ma si può imparare a star male? E chi mai sarà in grado di insegnarlo?
Viene in mente, dall’altro punto di vista, questo passo della Yourcenar:

Il colloquio col canonico aveva posto fine a quella che per lui era stata, dopo il verdetto del mattino, la solennità della morte.

(M. Yourcenar, L’opera al nero, p. 277)

L’uomo che sta per affrontare la morte e l’uomo (anche se di sesso femminile) che invece con la morte deve fare i conti.
Si scrive tanto dell’amore e releghiamo quest’altro aspetto della vita perlopiù agli inseguimenti in auto e alle sparatorie con i cattivi: quando poi dobbiamo soffrire, non sappiamo come farlo.

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